Come templi di un Iddio che riscopro pagano
le colonne erette ai cieli, rovine che incensarono i limoni…
È qui che ascolto i venti lacustri salmodiare
sopra l'onda che si spappola in maceria verde e marcia,
da qui si gustano parole nuove, scritte sull'olfatto
ripetute dallo scampanio di pennoni e legni,
strozzate quasi nella gola che respira
un novembre precoce e ferale,
di cipressi a sentinella di monti e cimiteri.
Qui sento che la cenere sono io, e quell'agro
sapore della bocca non è presagio di estinzione,
non paura di non essere ma una vaga sapienza di consistere
in un tempo lontano e mai finito,
una lieve erosione sulla pietra e sulla pelle.
Ecco che ridivento la rovina che sussurra
al miracolo insensato della Presenza.
fine ott ‘22
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