ITA/ENG
Caro amico mio, tutte le notti,
si stanno facendo lavori presso la mia casa
ci son grandi arnesi, stecconate, ci son garritte
poca roba per la verità , son lavori di comune amministrazione
Caro amico mio, rincasando, tutte le notti, o quasi,
davanti ai macchinari fermi, gialli al leggero vento
Spesso, davanti alla mia casa — è più alba che notte
Caro amico mio, quasi mi spavento, vedendo
camminare senza rumore, nella strada davanti a casa mia,
quando rincaso, che è più alba ormai che notte,
un’ombra che par vada senza piedi, o con pantofole,
col viso tutto coperto
Essa avanza grigia lungo il marciapiede
(o dall’altra parte della strada, lungo la stecconata
che protegge i lavori in corso, nel silenzio)
Caro amico, a cui scrivo perché sei lontano,
non son cose che si dicono a lettore
perduto nei suoi sogni
sono i nulla della vita cui solo gli amici sanno credere
Egli, l’ombra, coperta fino agli occhi, viene,
mi passa accanto, cammina senza rumore lungo la strada
ciò che lo copre non son veli di fantasma,
è soltanto lana che lo avvolge,
il povero custode delle macchine brancolanti nel silenzio.
E qui finisce l’introduzione.
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O miei occhi
Immensa è questa immagine, perché è una delle ultime
prima che io muoia —
sono il solo a vedere il malinconico deserto
cosparso, si sa, di misere forme
sono il solo a vedere poi la luce
che altro non è che azzurro notturno che sbiadisce
accendendosi di una sua speranza;
la stessa mia, che vago avanti e indietro
per vincere il sonno
è la pietà che mi veste di povera lana grigia
fino agli occhi, come un motociclista
o uno sciatore povero. Non sembro uno spettro, lo sono.
Il silenzio misterioso che è, nel mio aspetto
è anche dentro di me
ho solo le gambe vive, che mi portano su e giù
e gli occhi che vedono le ultime immagini della vita,
quelle che porterò con me nel giorno già deciso
La famiglia mi sa qui; contribuisco al nostro pane
la pietà dei famigliari e la mia mi segue
su e giù per questa strada, oh
miei occhi dove l’immensa immagine d’una piccola strada
su cui può soffiare il vento, qualche notte,
e qualche notte non c’è che il silenzio.
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O miei occhi,
forse perché ai vecchi si danno incarichi di ragazzi,
star svegli tutta la notte solo per sorvegliare,
voi che foste tutta la vita incapaci di vedere
ora per l’umiliazione rivelatrice, vedete
Di quante notti, io, guardiano, feci esperienza,
non desiderandolo, cercando di non vedere
andando su e giù come un fantasma,
negato all’aspetto come dentro di me a ogni rapporto,
che non fosse, s’intende, quella pietÃ
che mi vestiva e mi aveva dato il grado di custode
con la conscienza mia e della mia famiglia
Negandomi, dunque, passeggiavo
o miei occhi, che intanto guardavate
quelle notti. . . poco prima o poco dopo Pasqua,
ancora fredde che io affrontavo ben coperto
da una palandrana che mi arrivava fino ai piedi
e un passamontagna grigio
Inerte passavo davanti ai radi vivi
che rincasavano con la loro macchina
e mi perdevo senza voltarmi per il marciapiede,
o lungo il recinto sulla scarpata, verso il cantiere
Poi tornavo indietro, di nuovo solo,
cercando di non esistere (e ci sarei riuscito
se non ci fosse stata la pietà dei miei padroni
e quella dei miei famigliari):
mi appariva, allora, l’altra metà del firmamento.
LAST DREAMS BEFORE DYING
My dear friend, every night —
lately there’s work being done near my home
there are big contraptions, fences, sentry boxes
no big deal, really, normal administrative projects
My dear friend, when going home every night, or almost,
before the motionless machines, yellow in the gentle wind,
often, in front of my building — it’s more dawn than night
My dear friend, I almost get scared when I see
walking noiselessly in the street in front of my building
when I’m returning home and by then it’s more dawn than night,
a shadow that looks like it’s moving without feet, or in slippers,
face entirely covered
It advances gray along the sidewalk
(or across the street, along the fence
protecting the work site, in silence)
Dear friend, to whom I’m writing because you’re far away,
these are not the kinds of things one tells a reader
lost in his dreams
they’re the nothings of life only friends can believe
Covered up to his eyes, he, the shadow, comes forward,
passes beside me, walks noiselessly down the street
it’s not a ghost’s sheets covering him
he’s wrapped only in wool
poor guardian of the machines groping in the silence.
Here ends the introduction.
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O eyes of mine
This image is immense, because it’s one of the last
before I die —
I alone see the melancholy desert
strewn, as we know, with miserable forms
I alone then see the light
which is nothing more than the blue of night fading
as it kindles with a hope of its own;
the same as mine, as I wander back and forth
to fight off sleep
it’s pity that dresses me in poor gray wool
up to the eyes, like a motorcyclist
or an impoverished skier. I don’t look like a specter, I am one.
The mysterious silence in my appearance
is also inside me
only my legs are alive, taking me up and down
and my eyes, which see life’s final images,
the ones I shall take with me on the already determined day
The family knows I’m here; I help put bread on the table
their pity and my own follow me
up and down the street, oh
eyes of mine that see the vast image of a little street
where the wind may blow on some nights
and on some nights there is only silence.
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O eyes of mine,
perhaps because the old are given the tasks of youth,
staying awake all night just to keep watch,
you who all my life were unable to see
now, by revelatory humiliation, you can see —
How many nights have I, as guardian, experienced
without wanting to, trying not to see
walking up and down like a ghost,
denied in my appearance the way all rapport is denied me inside
except, of course, for the pity
that dressed me and gave me the rank of guardian
with my conscience and that of my family
Thus denying myself I used to stroll about
O eyes of mine, that meanwhile watched
those nights . . . shortly before or shortly after Easter,
nights still cold which I braved by covering up
in a housecoat that hung all the way down to my feet
and a gray ski mask
Lifeless I would pass in front of the few living souls
returning home in their cars
and wander off without turning round down the sidewalk
or along the fencing that ringed the slope, towards the work site
Then I would turn back, alone again,
trying not to exist (and I would have succeeded
if not for the pity of my bosses
and my family):
and at that moment, I would see the other half of the firmament.
Translated by Stephen Sartarelli
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