ROMA AMOR
(2014)
I
Longumque vale…
Claudiano, De raptu Proserpinae
Tracce chimiche notturne
comete d’acciaio e luci intermittenti
dei 747, gas di scarico
rifiuti lungo il margine dei campi –
lungo il margine dei campi
uno sporco materasso
tra la colza e i bassi arbusti,
una figlia della notte e il suo sgabello
ad ogni stop
in direzione Malagrotta,
ad ogni nuova ansa
della vecchia Aurelia… ma ne hai abbastanza
di rubare ore al sonno
e rigiocarle per azzardo
col traffico lontano ai sette colli
in soundtrack… ne hai abbastanza
di scorrazzare solitario
cospargendo del sale dei tuoi classici
i pascoli verdastri
della moderna Arcadia,
d’imputare il nostro male
alle muse postatomiche
del tedio, del delirio
e l’impotenza – vacuo coro
del significante. Caos
indigesto caos,
oscuro fonte di rinascita…
l’intera stirpe nasce dal respiro
di un sol uomo – e lo spirito fermenta
nel dolore.
Longumque vale: “addio, addio”.
Della nostra Regina: Proserpina.
II
La terra a mezzanotte
la luna malaticcia ed il remoto
abbaiare dei randagi. Fiori d’asfodelo
fioriscono in silenzio nelle tenebre
sterili e violacei… non sono forse
l’anticamera dell’Ade,
dove premettero gl’ultimi passi
della nostra Regina? dove Ciane
consunta in umore bluastro
rigò di quel suo pianto
i prati rugiadosi? – e ritorni a passeggiare
all’ombra delle acacie,
donando voce ad ogni vita…
e come allora, a diciott’anni
te ne andavi tra rovine di Scaligeri e Templari
e il profumato sospirare
del tuo Mincio, così ora
te ne vai a testa bassa sul viale che procede
verso il buio. Più in là
le pecore riposano agli ovili,
sazie bestie placidamente
stanche. Abbiamo camminato molto
ad est, oltre il grembo erboso di colline
sventrate dalle cave di ghiaia,
ne abbiamo visitato i campi
i pascoli assolati
i boschetti decidui, anima mia,
quando le nuvole correvano basse
e il Cielo c’era amico…
vagula tenula blandula, ἔσῃ ποτὲ ἆρα
φανερωτέρα τοῦ περικειμένου σοι σώματος
più concreta e visibile del corpo
spiccando more dagli spini
e insudiciandoci le scarpe
nei chiari pomeriggi
d’autunno, camminammo
lungo i sentieri campestri e nel fango
di pozzanghere, passate le piogge
pavoncelle spigolavano tra gl’alti ciuffi d’erba
o volavano veloci tra la colza,
e vecchi ruderi ospitavano
i nidi delle rondini. Più in là
quando improvvisa cadeva la notte
in quella casa diroccata, senza più un tetto,
su assi polverose
divorate dai tarli,
bivaccano zingari. I bambini
feroci per miseria
dormono ammassati sopra a stracci e vesti lacere
o siedono davanti alla piccola tv,
che vomita e rigurgita
rumore – in un angolo la madre beve birra
allattando la sua ultima
creatura. In queste notti
dei loro volti, sudici e incavati
alla luce dello schermo,
in queste notti mi perseguita
il ricordo… e te ne torni a passeggiare
all’ombra delle acacie, teso al silenzio
come Endimione al plenilunio, ὦ ψυχή
ich lehrte dich das Verachten
ἔσῃ ποτὲ ἆρα ἀγαθὴ καὶ ἁπλῆ
καὶ μία καὶ γυμνή
come uno stormo di farfalle notturne
che voli invisibile oltre un valico montano –
come a captare un’eco di luce
che il giorno passato, ronzando lontano,
seco trascinò nel buio.
Vagula tenula blandula, ἔσῃ […] σώματος: espressioni tratte dai Pensieri (propriamente “a sé stesso”) di M. Aurelio. I primi aggettivi in latino “vaga, tenera, blanda” sono riferiti dall’imperatore-filosofo alla sua anima, cui pure si rivolgono le seguenti domande in greco: “sarai mai un giorno più concreta e visibile del corpo?”. ὦ ψυχή […] γυμνή: ancora da M. Aurelio: “oh anima… sarai mai un giorno giusta, semplice, una, nuda?” Ich lehrte dich das Verachten: “io ti insegnai il Disprezzo”, espressione tratta dal capitolo “Del grande anelito” del Così parlò Zarathustra. Il passo intero così recita: “Oh anima mia, io ti insegnai il disprezzo che non giunge come un tarlo roditore, il Grande Disprezzo che ama – ed ama quanto più disprezza”.
III
a P.P.Pasolini
La terra a mezzanotte
la luna malaticcia ed il remoto
abbaiare dei randagi. Dei volti da
“stringere il cuore…” avresti detto
tu, con la tua insanabile
dolcezza. Fu questo
forse il teatro
della tua più struggente tragedia,
o lungo l’Appia, o la Flaminia,
non ricordo – eppure tutte le strade
(dico così, per rompere un po’ il ghiaccio)
portano a Roma… negl’anni ‘70
come oggi, nell’era che già da un decennio
si affaccia sul vuoto ordinario
del “nuovo mondo”
e millennio. E così entrambi
calchiamo i pascoli notturni
naturale animi pabulum
forse perché da sempre
il nostro camminare in mezzo agl’uomini
solleva giusto un circo d’ombre
irrazionali
puntualmente soffocate
dal giorno… solo di notte
si leva l’elegia del cosmo
e quelle ombre reclamano una voce – o forse
sono il solo a ingannarmi
che qualcuno mi risponda dal notturno labirinto
di quest’ora, tra le sagome
d’alberi più nere del nero
della notte, al limitare dei campi
il volo impercettibile nell’aria
di civetta ai querceti
Athene noctua, sacra a chi conosce
forse per non riconoscermi
flatus vocis, o testarda mimesis,
o ancora l’ultimo, anonimo
temporis laudator… maestro d’ombre
che viva piuttosto a suo agio
dietro un sipario di acuto sentimento
e astrusa cultura proteiforme.
Eppure, vita pura
sia tu ombra od uomo certo
almeno questa notte, lascia che ti chiami
Fratello
forza del passato… ieri come oggi
tra borgate o all’ombra della acacie, il nostro amore
è per i vivi –
è nella Tradizione.
La tua più struggente tragedia […]: ci si riferisce alla poesia di P. P. Pasolini che culmina coi versi “io sono una forza del passato”, ripresi anche alla fine di questa sezione. Naturale animi pabulum: “Cibo naturale dell’animo”.
Flatus vocis […] mimesis: espressioni tratte da opere e interventi di Pasolini.
Temporis laudator [acti]: espressione oraziana (“lodatore del tempo trascorso”), con cui si indica chi nutra un facile amore nostalgico per ciò che fu, per una qualche perduta e vagheggiata “età dell’oro”.
Il vecchio borgo: quello arroccato sull’Isola del Giglio.
IV
E poi mi prese l’alta fantasia…
bohème musicale di Settembre
o non fu piuttosto un concertare
di ricordi, un esubero di vite
in un sol uomo? – oh tu torna
ritorna…
nel vecchio borgo un vortice di musica
ed oltre la muraglia medicea
colava il nero vino della notte
su di noi, immacolati – e la coscienza
dello scorrere del Tutto
non scalfiva che di un soffio
la struggente bellezza
del Momento… oh tu torna,
attimo immenso
ritorna… tu non sarai con me
affrancata dal dominio
del cieco pensiero – e non ti vedrò
assorta nella Vita, ubriaca
del Momento, fermandolo su carta
con grafite – e i tuoi due cieli
a ricercarmi nella stanza, quasi
fosse già l’alba e il nostro amore
una romanza
provenzale… e non ti avrò
sulla spiaggia di quell’isola, la notte
tra gli ansimi del mare
e la tua mano stretta sulla sabbia,
inconscio d’isole e città
ci perderemo qualche brindisi
all’Arte ed alla nostra… ed il silenzio
d’agave petroso
popolerò di sogni e di chimere
quando il sigaro, fedele
brucerà per me solo –
e il mare sboccerà
in bianca spuma d’onda, e le stelle esploderanno
senza senso… e miti insepolti
torneranno a bussare
alle porte del Mondo.
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